Nino Attinà è un pittore calabrese nato nel 1953, però diventato milanese da tanto tempo.
La sua ricerca si era a lungo soffermata su un connubio di colori vivaci e contrastanti accompagnati alle atmosfere del realismo esistenziale milanese: scene di interni o di periferie urbane, o magari anche di giostre, sempre però connotate da una tonalità emotiva dimessa, intristita.
Negli ultimi anni, invece, la sua creatività ha subito un deciso processo di accelerazione; i suoi lavori sono caratterizzati da un segno libero, essenziale, a tratti nervoso, ma sempre più sicuro di sé.
I volti, i corpi, i paesaggi, più che riconoscerli si intuiscono, composti come sono di pennellate sfilacciate, che si distinguono su un fondale di colori accesi, inseriti in una atmosfera che discende direttamente dalla visionarietà surrealista di Andrè Masson.
E allora cambia tutto; anche le scene di vita quotidiana sono immerse in una dimensione allucinata, stravolta, universale.
Nell’ultimo capitolo di questa storia, la pennellata che crea ricami sulla superficie, ottenuti con un pennello giapponese, diventa scrittura e si libera definitivamente della immagine, per portarci dentro a paesaggi costituiti da puro colore.
Proveniente dal sud Italia, la costante del suo mondo pittorico è l’uso dei colori accesi.
Non importa che siano Interni di piano bar, con scene che sembrano tratte da romanzi esistenzialisti, oppure paesaggi marini, i colori si dispiegano sulla tela con le sue pennellate fitte e filamentose.
Il supporto è perlopiù la tela di iuta; i lavori su carta sono chine oppure guazzi.