Tetsuro Shimizu è nato a Tokio nel 1958, in un momento in cui il Giappone sta soffrendo una grande crisi di identità.
Paradossalmente è proprio con il confronto con l’arte occidentale che trova la sua strada, interpretando a modo suo la lezione di Tiziano e di Cèzanne.
Innanzitutto, lui lavora sul concetto giapponese “Mujo” – che in italiano può essere tradotto con “impermanenza”, ossia, qualcosa che c’era, che non c’è più, ma che comunque, in qualche modo, lascia una traccia.
Quindi, se la tela rappresenta la parte fisica dell’esistenza, la pittura rappresenta quella spirituale.
E a mano a mano che il corpo si modifica con il tempo, così anche si modifica il telaio, che si caratterizza per delle spaccature, delle scansioni, dei vuoti.
Apparentemente erede della stagione informale, in realtà le sue opere sono progettate con schizzi e disegni preparatori, prima di passate alla fase esecutiva.
Come detto, i lavori più tipici di Tetsuro Shimizu sono caratterizzati da telai costruiti uno per uno dallo stesso artista; anche questi, infatti, con le loro sagome e spaccature, servono a dare il giusto tono emotivo dell’opera.
Poi, sul telaio viene stesa una spessa tela di iuta, uno spazio su cui si fissano le più diverse emozioni, rappresentate dai colori che la ricoprono, lasciando però anche libere ampie senza colore.